di Anna Zaltieri
Anni fa non avrei mai pensato che la corsa sarebbe stata così.
Così come, chiedi?
Eh..come posso spiegare una rivoluzione?
Ecco si forse la parola rivoluzione rende bene l’idea.
La corsa rivoluziona, tutto.
Tutto della tua vita, il tuo fisico, la tua mente, il tuo approccio alla vita, la tua soglia del dolore.
La corsa ti dà opportunità.
Di sperimentare un ventaglio di emozioni prima sconosciute.
La corsa rende difficile scrivere articoli perché per quante parole si possano pescare in un dizionario non saranno mai abbastanza per rendere coerentemente e profondamente davvero l’idea di cosa sia la corsa…per me.
La corsa è un mostro.
Ti avvinghia, si appropria di ogni tua cellula, impone una dittatura totale, innesca una dipendenza patologica.
Soprattutto quando l’infortunio bussa alla tua porta.
Depressione e tristezza si abbattono come una scure, il dolore diventa plumbeo.
E’ come se ti togliessero il terreno da sotto i piedi.
Col tempo però inizi a maturare anche lì.
Ti poni obbiettivi per tornare il prima possibile competitivo.
E’ come nella filosofia, pensa alla luce..ecco essa è anche buio perché il buio è “ non luce”..insomma la luce c’è e il “non” non la annulla, diciamo solo che la spegne per un po’ .
La stessa cosa è per l’infortunio, anch’esso è corsa o meglio non corsa.
E si può lavorare per correre ancora quindi il percorso di riabilitazione ti fa crescere, ti rende più consapevole del tuo corpo.
Io da quando corro ho scoperto di avere psoas, piriforme, soleo…ma c’erano anche prima?
La corsa è mistero.
Eh si è un bel mistero che alcune volte faccia fatica a camminare o a scendere dall’auto per i dolori e poi la sera stessa riesca a correre !
I dolori diventano amici che quotidianamente ti accompagnano in ogni movimento.
Averli dà una padronanza del proprio corpo che rafforza la mente e ci aiuta a capirci meglio ma soprattutto a capire chi siamo.
Correndo definiamo i nostri limiti ma nel farlo continuiamo a spostarli un poco più in là e più ci portiamo oltre più sappiamo qualcosa di noi e ci “impariamo”.
La corsa ci obbliga ad ascoltarci perché non si può correre davvero senza farlo.
La musica nelle orecchie non sostituisce il ritmo del nostro cuore o la profondità del nostro respiro.
Ascoltati, amati.
Questo insegna.
Perché se non ti ami, tenderai a prendere troppo e non avrai pietà di te stesso ma il tuo fisico si, ne ha molta di pietà e per impedirti di distruggerlo ti fermerà.
E tu ti piangerai addosso e odierai quelle gambe dolenti invece di amarle e ringraziare che ti preservano dal peggio.
E poi un giorno capirai.
Che pretendere nella corsa è sbagliato.
Nella corsa devi solo dare, tanto tantissimo ma mai pretendere indietro perché più lo farai più la corsa ti negherà ciò che vuoi.
Quando smetterai di chiedere lei come per magia ti darà.
Poco, pochissimo.
Ma con un’intensità così grande che cancellerai anni di sofferenze.
Ecco.
La corsa è felicità pura.
Solo chi corre può capire cosa intendo.
E non so nemmeno come spiegarla questa felicità.
E’ un sentimento associato alla sofferenza.
Noi runner siamo preparati alla sofferenza perché la alleniamo in continuazione, in ogni allenamento ci plasmiamo con essa.
E’ fatica.
Sì è faticoso correre, che corriamo un lento, un medio, un fartlek o una ripetuta noi fatichiamo.
Carichiamo il nostro corpo di un gesto che lo mette alla prova.
Di quella fatica noi abbiamo bisogno per sopravvivere.
Perché poi arriva un giorno in cui gambe, testa e cuore sono perfettamente in sintonia.
Quel giorno corriamo con scioltezza, determinazione e grinta.
Quel giorno sembra di volare, sembra che tutto risulti facile.
Quel giorno centriamo l’obbiettivo.
Stabiliamo un personale.
E quei numeri che leggiamo sul tabellone di arrivo non ci sembrano veri.
Ma lo sono e sono nostri.
E solo noi sappiamo quanta sofferenza, quanto impegno, quanti rospi ci sono costati.
E’ quello il momento in cui la felicità esplode e una sensazione di appagamento totale oscura tutto ciò che di brutto c’è nel mondo.
In quel momento il risultato è solo nostro, eternamente nostro.