A seguito del pranzo sociale 2015 condito dalla manifestazione di doti canore indiscutibili, mi ritrovo a correre tra i palazzi della città respirando la nebbia di Brescia, che non è quella di Pechino, ma è pur sempre aria pesante che t’increspa trachea e polmoni.
Sputando speranze che tutta ste umidità si trasformi in splendide giornate di sole, m’inebrio di sogni saltellando come uno stambecco con l’artrite.
Correre in città non è come farlo in campagna o tra boschi collinari, lo si riesce a fare solo se la testa si mette a vagare oltre il cemento, oltre i marciapiedi che ti fanno inciampare, oltre le automobili che scoreggiano piombo, oltre le biciclette che ti sfiorano, oltre i passanti che camminano a testa bassa e non si spostano. A dieci metri da loro gli fai un cenno con il viso, a cinque dall’impatto chiedi scusa, quando la collisione è imminente con un colpo di reni li schivi saltando giù dal marciapiede se ti va bene o arrampicandoti sui muri se ti va meno bene.
Qui la testa torna giù, smette di vagare e torni alla realtà finendo di correre intorno ad una statua (circuito da 15 metri da ripetere almeno 500 volte).
Allora la testa invece di vagare gira, torni a casa pensando che dovresti andare a vivere in mezzo alle montagne per correre in pace, coltivare patate e allevare pecore.
…el profugo…